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Tra Simonide e Michelangelo: l'intimità del rapporto madre-figlio

Michelangelo perse sua madre quando aveva solo sei anni. Da allora sentì sempre la necessità di evocare il mancato rapporto madre-figlio, tanto da riuscire a trasferire nelle sue Madonne tutto l’amore che non aveva potuto dare e ricevere. Alla fine della sua vita idealizzò questo rapporto liberandolo dal marmo, e ne fece il suo testamento spirituale.


La Pietà Rondanini (1552-1564), con la sua immensa potenza espressiva, è l’esempio lampante dell’attaccamento di Michelangelo alla figura materna, ma anche alla scultura in generale. Fin dall’inizio della realizzazione, l’artista ebbe con quest’opera un rapporto particolare: si racconta che il primo tentativo fallì per imprevisti strutturali ed egli arrivò addirittura a farla a pezzi. Successivamente, tornò diverse volte sul suo progetto, fino a rivoluzionarlo del tutto: innovativa è infatti la struttura della statua, orientata verticalmente, a differenza di quanto si faceva a quel tempo.

Iconograficamente la Pietà Rondanini rappresenta la Vergine nell’atto di accogliere tra le sue braccia il Cristo deposto dalla croce, ed è proprio la verticalità che enfatizza l’unione dei due protagonisti. La madre e il figlio prendono vita dal marmo simultaneamente, non si capisce chi dei due sorregga l’altro, e sono fusi insieme in una tensione irriducibile. A questa solidità si contrappone l’incompiutezza del non finito, forse voluto dal destino (poichè Michelangelo morì mentre stava scolpendo il marmo), forse già deciso dall’artista stesso. Lo scultore inglese Henry Moore, nella sua analisi, pone particolare attenzione al dualismo solidità-instabilità che avvolge l’opera: ma questo è solo uno dei tanti contrasti presenti, e in fin dei conti tipici del rapporto tra una madre e un figlio.






Proprio su una serie di contrasti altrettanto significativi si basa il carme di Simonide (fr. 543 Page), conosciuto come Lamento di Danae e risalente al VI sec. a.C. I versi a noi pervenuti contengono solo una scena della vicenda mitica originariamente narrata, ovvero le tenere parole rivolte da Danae a suo figlio Perseo addormentato, mentre la cassa in cui si trovano viene trascinata dall’impeto del mare.


O figlio, quale pena soffro.

Ma tu dormi, dormi

con cuore di bimbo nell’arca

crudele dai chiodi di bronzo

disteso in questa notte senza luce

e nella tenebra buia.

(...)

Se tu avessi paura di ciò che fa paura

porgeresti il tuo piccolo orecchio

alle mie parole.

Ma io dico: dormi, o bimbo, dorma

il mare, dorma l’immensa sventura.

(trad. di B. Gentili)





Madre e figlio, dunque, anche in questo caso costituiscono un’unità: rinchiusi nel loro piccolo mondo, vagano andando incontro ad un futuro incerto, sono intrappolati in una condizione instabile. In primo piano spicca l’ansia della madre, in contrasto con la serenità del figlio, e la sua stessa gestualità: Danae abbraccia Perseo proprio come la Vergine fa con Cristo, vorrebbe riportarlo nel suo grembo, farlo sfuggire alla sventura.


Simonide, nella sua composizione melica, canta uno dei primi esempi di mater dolorosa, epiteto poi spesso associato a Maria. E canta un amore atemporale e inevitabile, nonostante tutti i contrasti e le decisioni del fato. Michelangelo trasferisce quest’amore nella sua ultima fatica, con una forza espressiva che lascia senza parole. Mette da parte la magnificenza della forma, si slega da tutti i canoni, diventa più intimo e quasi “espressionista”. Dona un senso di libertà immenso e ci pone davanti agli occhi sentimenti puri, spogliati da qualunque artificio, dimostrando una profonda comprensione dell’umano.


La Pietà Rondanini è, in ultima analisi, metafora della morte come rientro nel corpo della madre, e il non finito contribuisce a lasciare eternamente aperto il confronto con il mistero della morte. Tra vita e morte, vuoto e pieno, solidità e instabilità, si staglia questa scultura e l’intera esistenza umana, ben rappresentata dalla cassa del Lamento di Danae trascinata con violenza dalle onde del mare.



Bibliografia:

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Marzia Perrini



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