top of page
Chiara Pignatelli

L'URLO E IL MUTO LAMENTO DINANZI ALL'ORRORE




Anno: 1893

Tecnica: olio, tempera, pastello su cartone

Dimensioni: 91×73,5 cm

Data: 1893 - 1910

ALLE FRONDE DEI SALICI

“E come potevamo noi cantare

Con il piede straniero sopra il cuore,

fra i morti abbandonati nelle piazze

sull’erba dura di ghiaccio, al lamento

d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero

della madre che andava incontro al figlio

crocifisso sul palo del telegrafo?

Alle fronde dei salici, per voto,

anche le nostre cetre erano appese,

oscillavano lievi al triste vento.”


S. Quasimodo, Poesie e discorsi sulla poesia,cit.

In questa lirica, Quasimodo ha voluto evocare le immagini atroci della guerra. Il canto del poeta si dimostra essere un lamento muto e impotente dinanzi all’orrore. Per Quasimodo la poesia è un vero e proprio strumento di testimonianza politica e di polemica sociale. Il poeta riveste un forte impegno civile in quanto il suo obiettivo, oltre che paideutico, è quello di provocare nell’animo dei suoi lettori un senso di rivoluzione. Nella lirica non mancano i riferimenti biblici come testimonianza di una necessaria ricerca verso la sensibilità, solidarietà e umanità tra gli uomini. Dell’ispirazione ermetica resta il gusto per gli accostamenti arditi: “l’urlo nero della madre” con cupo effetto sinestetico. L’urlo nero ci permette di percepire la drammaticità, l’aggettivo nero significa propriamente “funebre, luttuoso” che spalanca dentro di sé l’abisso di un dolore inesprimibile. Viene in mente un celebre quadro del norvegese Edvard Munch, L’urlo. Si tratta di una delle opere più inquietanti di tutto il secolo. Il senso profondo del dipinto lo troviamo descritto dall’artista stesso in alcune pagine di un suo diario:

“Camminavo lungo la strada con due amici, quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue, mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto, sul fiordo neroazzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco, i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura, e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.”

La scena, è non solo autobiografica, ma ricca di riferimenti simbolici. L’uomo in primo piano, nella sua solitudine esprime il dramma collettivo dell’umanità. Il ponte richiama gli ostacoli che ciascun uomo deve superare nella propria esistenza e le due figure che si vedono camminare in lontananza rappresentano gli stessi amici e la falsità dei rapporti umani. In Munch la forma diventa preda delle angosce più profonde. L’uomo che eleva il suo urlo è fatto della stessa materia filamentosa di cui è fatto il cielo infuocato composto da onde sovrapposte di giallo e rosso. Al posto della testa vi è un cranio senza capelli, gli occhi sbarrati sembrano aver assistito a qualcosa di disumano, le labbra bluastre rimandano a loro volta alla morte. L’urlo disperato sembra propagarsi nelle pieghe del colore del cielo, della terra e del mare. È l’urlo di chi si è perso, l’urlo di chi si sente solo, l’urlo di chi non riesce a raggiungere la propria verità. Lo stesso urlo che Quasimodo vorrebbe ma non riesce ad esprimere dinanzi alle atrocità della guerra, rimanendo così muto e impotente. Lo stesso urlo di tutti quegli uomini vittime di un sistema forse troppo sbagliato, lo stesso urlo di chi non si accontenta. Lo stesso urlo di quei bambini strappati alla vita per colpa di un uomo senza coscienza e logica che decide, in un giorno qualunque, che dev’essere così. L’urlo di chi si sente sopraffatto da una natura prepotente e maligna. La scena, dunque, rimane ferma nel tempo, superando epoche, arrivando fino ai giorni nostri e diventando immortale come testimonianza di un grido che ci dev’essere e si deve sentire.

Chiara Pignatelli, V classico.

40 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page