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Salvador Dalí e l’Acherontia Atropos

Aggiornamento: 26 mag 2020

«La falena era meravigliosa e terribile. Le grandi ali bruno-nere erano drappeggiate come un mantello e sull’ampio dorso lanuginoso spiccava il simbolo che ha sempre ispirato timore agli uomini, da quando hanno incominciato a incontrarla all’improvviso nei loro giardini. Il teschio a cupola, il teschio che è nel contempo cranio e volto, gli occhi scuri, gli zigomi, l’arco zigomatico tracciato in modo perfetto accanto agli occhi.»

-Thomas Harrison, l’Acherontia Atropos ne “il silenzio degli innocenti”.


Acherontia Atropos é il nome scientifico della “sfinge testa di morto”, una falena molto particolare che presenta sul dorso una macchia biancastra o giallognola con, all’apice, due puntini neri che nel complesso,sembrano formare un teschio. Il nome “Acherontia” deriva dall’Acheronte, uno dei fiumi dell’Inferno che, come scritto nel III canto della Divina Commedia di Dante, bisogna attraversare per giungere al regno dei morti. “Atropos”, invece, deriva dal nome di una delle tre Moire greche figlie di Zeus, Atropo, a cui era assegnato il compito di recidere il filo della vita.



Il lepidottero é presente nella locandina cinematografica de “Il silenzio degli innocenti”(1991). La pellicola, diretta da Jonathan Demme,è considerata capolavoro immane e cult cinematografico, soprattutto per l’impeccabile recitazione di Anthony Hopkins nei panni dell’ex psicologo assassino Hannibal Lecter e l’affascinante agente Clarice Starling, interpretata da Jodie Foster.

Sulla locandina spicca, in sostituzione al teschio del lepidottero, la riproposizione di un celebre scatto…



Nella locandina de “il silenzio degli innocenti”, vi è la riproposizione della celebre foto del 1951“In Voluptas Mors” progettata dall’artista Salvador Dalì e dal fotografo Philippe Halsman.

È considerabile un chiaro omaggio del regista all’artista spagnolo, ma è al contempo un messaggio subliminale allo spettatore, che provoca in esso un invito implicito a guardare il film.



La fotografia ritrae in primo piano il volto dell’artista che fissa oltre l’obiettivo. In secondo piano, invece, sette donne nude posizionate in modo da formare un teschio umano. Sette corpi,come i peccati capitali, dei quali è uno ad assumere particolare rilevanza,il peccato della carne e della “voluptas”, appunto.

Lo scatto è simbolo inconfutabile dell’eterno dualismo fra eros e thanatos: i corpi vitali e freschi delle giovani donne, usate per comporre un macabro teschio (memento mori). Ma Salvador Dalì, aveva già avuto a che fare con la falena della morte…



Nel 1929, il folle pittore, durante la sua permanenza in Francia, scrive e produce un cortometraggio di 21 minuti intitolato “Un Chien Andalou”, emblema del cinema surrealista, con il regista Luis Buñuel. La pellicola é nota inoltre, come critica agli scarsi contenuti dadaistici.

Buñuel e Salvador Dalí ebbero quest’idea dopo aver discusso dei sogni che entrambi avevano fatto: l’unica regola che i due posero alla base del loro progetto era l’esclusione di qualunque cosa che potesse essere interpretata in maniera logica. Pertanto, ritroviamo nel corto una giustapposizione di elementi disadatti e incongrui, che mirano a evocare l’inconscio.

A pochi minuti dalla fine, la protagonista entra in una stanza e si sorprende dinanzi ad uno strano insetto sul muro:la falena della morte. Secondo un’antica credenza, la comparsa dell’Acherontia Atropos durante la notte, è presagio di morte.

É un caso che Buñuel e Dalí abbiano deciso di porla nel loro cortometraggio?

Vi consigliamo la visione, facilmente reperibile su Youtube.



P.S. Un interessante spunto di riflessione riguardante questo breve film è la comparsa -per qualche secondo- di Dalí nelle vesti di un prete legato ad una tavoletta e ad un pianoforte, simbolo dei freni imposti dalla Chiesa alla società.

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