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Raffaello: tra fede e ragione

Se si parla dello stretto legame tra arte, filosofia e religione, non possiamo non fare riferimento a Raffaello Sanzio e alle magnifiche produzioni esposte nelle Stanze Vaticane, in particolar modo a quelle nella Stanza della Segnatura: il programma iconografico delle Stanza prevede la visualizzazione dei concetti del Vero, del Bene e del Bello. Il Vero soprannaturale, Dio, è raggiungibile attraverso la teologia e le fede nella Rivelazione, il Vero razionale attraverso la filosofia, percorso intellettuale squisitamente umano; il Bene è descritto nella rappresentazione delle Virtù Cardinali e teologali e della Legge; infine il Bello, identificato nella poesia, è raffigurato nel cosiddetto Parnaso.

I due affreschi maggiori, La Disputa del Sacramento e La Scuola d’Atene, posti uno di fronte all’altro nella Stanza e raffiguranti il Vero, affermano la dottrina neoplatonica dell’indissolubile unione tra teologia cristiana e filosofia greca. Questo concetto di unità e armonia tra fede e ragione, che sono solo apparentemente in contrasto, è espresso anche nella concezione spaziale dei due affreschi: l’ambiente di sfondo nel quale si incontrano i grandi della filosofia antica ne La Scuola di Atene è la navata di una grande basilica, la cui struttura architettonica si completa nell’altare rappresentato nella parte inferiore della Disputa, attorno al quale si trovano riuniti i personaggi significativi della Chiesa militante, sovrastato da una cupola “metafisica” rappresentante Dio, le gerarchie angeliche, Cristo e i personaggi fondamentali dell’Antico e Nuovo Testamento.

“La Disputa del Sacramento” di Raffaello Sanzio, 1509/1510


Nella Disputa, grazie ad una sapiente organizzazione spaziale, è evidente nell’immediata la divisione tra la Chiesa Militante nella fascia inferiore, in cui si ritrovano teologi, dottori della Chiesa, Papi, ma anche letterati, filosofi e semplici fedeli, e la Chiesa Trionfante nella parte superiore, in cui figurano la Santissima Trinità, con Gesù al centro e il Padre che lo sovrasta nell’atto di benedire, affiancati dalla Vergine Maria, San Giovanni Battista, una schiera di angeli, santi e profeti. Nella fascia inferiore dell’opera notiamo subito grazie al movimento dei personaggi come la Chiesa Militante si stia interrogando, stia discutendo, sulla natura, sul perché e sulla profondità del mistero eucaristico collocato proprio al centro dell’opera. Quest’immagine palesa a noi tutti che per secoli nella Chiesa è stato approfondito il dono incommensurabile dell’Eucaristia dinanzi al quale ogni ragionamento umano viene meno, poiché a differenza degli altri Sacramenti che contengono il dono di Dio, essa contiene lo stesso Dio. Proprio alla forza che ne scaturisce si riferisce il nome Disputa, più che ad una vera e propria discussione o frattura tra la parte superiore e quella inferiore dell’affresco: è rappresentato l’avvicinamento a Dio, l’ascesa verso il Vero il trionfo della Chiesa e della fede in tutto il suo splendore.



“La Scuola di Atene” di Raffaello Sanzio, 1509/1510

La Scuola di Atene si identifica come esaltazione figurativa della ragione umana, in quanto strumento per raggiungere il Vero: la rappresentazione di tanti filosofi antichi (se ne contano ben cinquantotto) ed esperti in diversi campi del sapere è la dimostrazione di quanto l’uomo abbia cercato e conquistato grazie al proprio intelletto, e non a caso Raffaello decide di stabilire un rapporto di continuità storica ed intellettuale e sancire l’unione tra il mondo classico e quello presente, attribuendo ai filosofi antichi le fattezze di artisti e intellettuali suoi contemporanei. Al centro dell’opera, come principale punto di fuga, figurano Platone e Aristotele, rispettivamente raffigurati come Leonardo da Vinci e Bastiano da Sangallo: il primo ha in mano il Timeo e con l’altra mano indica verso l’alto, verso la sfera celeste, dove risiede il Bene; il secondo ha in mano l’ Etica Nicomachea, mentre l’altro braccio è disteso, completando il pensiero e la filosofia di Platone, indicando il ritorno dal mondo del pensiero e per cercare di trasformare la realtà in cui viviamo nella realtà ideale, per quanto possibile. Grazie alla naturalezza della gestualità dei due uomini, Raffaello mette in evidenza la sintesi di queste due filosofie monumentali, ovvero il Neoplatonismo. Anche Plotino figura nell’opera, vestito di rosso sulla destra, ai piedi della statua di Atena. Anche le due imponenti statue sui lati hanno forte valore simbolico: Apollo con la lira sulla sinistra e Atena con la testa di Medusa in una mano rappresentano il trionfo della ragione e dell’intelletto sulla brutalità e la violenza.

In primo piano, sulla sinistra, di fianco a Parmenide, c’è una figura dai tratti efebici, vestita di bianco e con lo sguardo rivolto verso lo spettatore. L’identificazione più ricorrente è quella con Francesco Maria Della Rovere, duca di Urbino e nipote del papa Giulio II, che all'epoca del dipinto si trovava a Roma e ai cui servigi Raffaello doveva forse la venuta nella città eterna. Secondo un’interpretazione incarnerebbe il concetto greco di kalokagathia, ovvero la corrispondenza “bellezza/bontà”, ideale supremo di uomo virtuoso per lo spirito ellenico: i concetti di Bene e Bello sono sempre ricorrenti.

Altri artisti contemporanei raffigurati nell’affresco sono Bramante ritratto in Euclide, a destra, chinato a tracciare disegni geometrici, e Michelangelo rappresentato in Eraclito, il filosofo pensoso e solitario in basso al centro che annota qualcosa sul foglio. Nel complesso della rappresentazione Raffaello trova posto anche per sé: all’estremità del lato destro troviamo un suo autoritratto, nelle vesti di Apelle, a fianco al ritratto dell’amico Sodoma, rappresentato come Protogene.

Grazie a queste immense e complesse opere, Raffaello ci ha lasciato una grandiosa sintesi, intesa nel suo senso etimologico: l’unione tra fides e scientia, tra passato e presente, tra la sua arte e il suo tempo.


Chiara Semeraro

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