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ferrararob2003

Lo scorticamento di Marsia



«Rettulit exitium, satyri reminiscitur alter,


Quem Tritoniaca Latous harundine victum


Affecit poena. "Quid me mihi detrahis?" inquit;


"A! piget, a! non est" clamabat "tibia tanti".


Clamanti cutis est summos direpta per artus


Nec quicquam nisi vulnus erat; cruor undique manat


Detectique patent nervi trepidaeque sine ulla


Pelle micant venae; salientia viscera possis


Et perlucentes numerare in pectore fibras.»



«Un altro si rammenta di quel satiro


cui il figlio di Latona affisse una pena


dopo averlo vinto col flauto Tritoniaco


"Perché mi scortichi?" chiese;


"Ahimè! mi pento!" gridava "un flauto non vale tanto!"


Ma mentre egli disperava gli fu strappata la pelle dalle membra


Nient'altro era che una ferita; ovunque promana il sangue,


si scoprono i muscoli liberi e, rilasciate, senza pelle,


pulsano le vene; potresti contare


le viscere zampillanti e le fibre sanguigne.»


(Metamorfosi, Libro VI, vv. 385-391)




La tela dello “Scorticamento di Marsia” di Tiziano, è considerata una delle ultimissime opere del pittore. La datazione oscilla tra il 1570 e il 1576 ed è conservata nel Museo arcivescovile di Kroměříž, Repubblica Ceca.


Il dipinto, lasciato incompiuto con la morte dell’artista, è stato successivamente completato dai suoi allievi: la figura all’estremità sinistra della tela,ad esempio,il suonatore di liuto (probabilmente all'inizio pensato come un portatore di lira) presenta diversi strati pittorici sovrapposti.


Essa, però, non è l'unica ad essere stata rimaneggiata in un momento successivo a Tiziano, date le evidenti differenze di stile tra l'artista e i suoi allievi,inizialmente aiutanti, poi sostituti veri e propri dopo la sua scomparsa.


Cosa rappresenta la scena? Qual è il modello preso in esame?


La storia di Apollo e Marsia si apre con la dea Atena, creatrice dell’αὐλός (creato per simulare il lamento delle Gorgoni quando Perseo decapitò Medusa).

Durante un banchetto con gli dei, Atena iniziò a suonare lo strumento per compiacere Zeus, ma la reazione non fu quella sperata: Era e Afrodite risero di lei. Adirata scappò via e si fermò vicino ad un lago.

Specchiandosi capì il motivo del riso: suonando lo strumento a canne, il suo viso si deformava.

Furiosa lo scagliò a terra e lo maledisse: chiunque lo avesse preso avrebbe subito terribili sciagure.

Tale strumento venne però ritrovato da Marsia, satiro di origine frigia che imparò a suonarlo in modo impeccabile, e decise così di sfidare Apollo in una gara di musica. Il dio chiamò le Muse come giudici.

L'esibizione di Marsia fu tanto divina da impressionarle.

Apollo, per paura di perdere la contesa, decise di suonare e cantare contemporaneamente e chiese a Marsia di fare altrettanto.

Apollo, suonando la lira, non trovò alcuna difficoltà nel farlo, mentre il satiro non poté, dal momento che il suo era uno strumento a canne.

La vittoria fu così data al dio Apollo che torturò Marsia facendolo pentire di aver dato inizio alla sfida. Ed è questo il racconto, ripreso dalle “Metamorfosi” di Ovidio, che Tiziano decide di dipingere.




In questo caso, Tiziano prese come modello un disegno di Giulio Romano, attualmente conservato al Louvre. Marsia è appeso per i piedi ad un albero di profilo, il volto è solcato dalla sofferenza, la bocca è aperta mentre urla per il dolore.


Nella parte destra un satiro sta portando un secchio d’acqua per alleviare il dolore del compagno, mentre Apollo, con la faretra sulle spalle, porta via la pelle di Marsia.


È evidente come Giulio Romano avesse voluto rappresentare a quali conseguenze la stoltezza avesse condotto Marsia che, punito per aver voluto gareggiare con un dio, non poté fare altro che sopportare la sofferenza.






La tela di Tiziano propone gli stessi personaggi in una simile composizione.

Marsia è al centro appeso ad un albero, in posizione frontale e con le gambe incrociate.

Il volto non esprime sofferenza, non urla, contrariamente alla descrizione fornita da Ovidio che usa il verbo "clamabat", ma al contrario sembra spaventato, incredulo e sostanzialmente rassegnato.


A destra è presente il satiro con il secchio d’acqua e all'estremità un bambino che tiene a bada un grosso cane attratto dal sangue che sgorga dalle ferite del satiro.

A sinistra Apollo è chinato a togliere la pelle già staccata e in piedi spicca la figura del suonatore di liuto.


Che tale suonatore sia in realtà Apollo?

Secondo il critico Neumann, le due figure rappresenterebbero il medesimo personaggio; si deve quindi pensare ad una rappresentazione simultanea della stessa scena?


Purtroppo non vi è alcuna certezza, ma ad alcuni critici risulta strano che Apollo possa essere la figura che sta scorticando Marsia (non si attribuirebbe un comportamento del genere ad un dio).

I principali "sospetti" sembrano ricadere sull'intervento di Palma il Giovane,che probabilmente volle rappresentare la capacità del dio di schernire il satiro con la sua abilità musicale e dall'altro di infliggere materialmente la punizione, per affermare ulteriormente i poteri e la superiorità delle divinità.

La scena è separata dal fiume che scorre, rosso da una parte e limpido dall’altra (il mito narra che dal suo sangue nascerà infatti il fiume Marsia).

A destra ci sono i sostenitori del satiro e a sinistra i suoi “carnefici”, coloro che ne hanno decretato la sconfitta.



Tiziano fu uno dei pochi artisti del suo tempo a dedicarsi alla rappresentazione del momento più violento della scena, portando all'estremo il racconto ovidiano: gran parte degli artisti aveva preferito soffermarsi sul momento della gara, senza mai spingersi oltre.


Chi fu il committente dell’opera? Perfino questo rimane un mistero: pare che non ci fosse, o meglio non sono rimasti documenti che lo possano attestare; l'unica possibilità è percorrere un sentiero formato da mille forse, a tentoni, nel buio.


Forse l’opera venne terminata intorno al 1570-1571 e lasciata nella bottega finché non fu trovata dagli allievi dopo la morte del maestro.


Forse venne dipinta a seguito di un evento accaduto in quel periodo (stando all'ipotesi di David Freedberg): si tratterebbe dell’assedio turco sull’isola veneziana di Famagosta il 1 agosto 1571, in cui gran parte degli abitanti perse la vita in modo brutale; forse questo evento lo segnò talmente tanto, da spingerlo ad immortalare sulla tela un episodio altrettanto crudo e che di solito non veniva mai rappresentato.


Nonostante l'alone di incertezza che l'avvolge, si tratta in ogni caso dell’ultimo stile di Tiziano, fatto di ampie pennellate, quasi rarefatte, date con velocità e grossolane.


Anche qui ritorna la sua tecnica del "non-finito", ormai lontano dai simboli di altre opere della maturità dell’autore, ma piuttosto riflesso di stanchezza fisica, dovuta all'età avanzata del pittore: si racconta che dipingesse anche con le mani arrivato allo stadio finale della vita.



Lo scorticamento da alcuni è visto come un elemento simbolico di purificazione.


La Morte è la tredicesima carta degli arcani maggiori dei tarocchi; è conosciuta anche come l'Arcano senza nome in quanto nei tarocchi marsigliesi è l'unica carta ad essere contrassegnata solamente dal numero.


Nella cartomanzia rappresenta la trasformazione oppure il termine, la fine.


Lo scheletro è il simbolo della morte.


La carta rappresenta un passaggio iniziatico, le XXII carte dei Tarocchi simboleggiano infatti il cammino dell'iniziato, e questa carta, che si trova a metà, è il punto esatto in cui avviene il rinnovamento, il momento necessario di cambiamento in cui chiudere con il passato e guardare al futuro.


Tiziano è al momento finale della sua vita ma parallelamente all'inizio di un nuovo ciclo,come si evince dalla nascita del fiume dal sangue del satiro; ciclo di cui non sarà più partecipe, rispetto al quale, però, lascia la sua eredità artistica e professionale.


L'erba del prato infatti è normalmente rappresentata con un verde acceso per suggerire la vitalità insita nella carta: in altre versioni lo scheletro è di un rosa che ricorda quello della pelle umana, simbolo di vita.


Tutti i dettagli dell'aspetto della carta riprendono questo concetto: la falce simboleggia il momento del raccolto e quindi per le messi è la fine di una fase e l'inizio di un nuovo periodo.


La falce è sia simbolo della distruzione (il taglio delle piante, che equivale a un'uccisione) sia della rinascita (la semina nella stagione successiva).



Le spoglie umane si rifanno alla mitologia egizia, secondo la quale il dio Seth uccise Osiride e fece il suo corpo in 13 pezzi, che furono poi ricomposti dalla dea Iside.

Ancora una volta il significato del ritorno, della resurrezione e della morte apparente, sconfitta da Iside che è capace di ridare forma alle spoglie, letteralmente, di attuare un cambiamento e di affrontare il dolore.

In questo modo Iside compie una rivoluzione, avventurandosi nell'ignoto che proprio come il nero del terreno della carta sta a significare ciò che è sconosciuto e temibile, ma che si mostra come l'unica via percorribile per poi dare vita (di nuovo) a qualcosa di straordinario, come farà Tiziano.


Tutte le parti umane che la falce ha lasciato a terra (viso, mano e piede) non hanno perso vitalità, sono ancora colorate ed espressive, disegnate come se da un momento all'altro potessero muoversi.


Quasi a ricordare che nulla muore per davvero, come già diceva Eraclito e come espresso dal postulato fondamentale di Lavoisier, ma tutto si trasforma e ritorna in una continua evoluzione.



~Roberta~


Bibliografia : Mariotti Giovanni, La fine di Marsia secondo Tiziano, in Corriere della Sera.

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