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La Pietà

La compassione che attraversa i secoli, dalla perfetta santità di Michelangelo alla spietata crudezza di Kim-Ki Duk.


E’ il 1498 quando il cardinale francese Jean Bilhères commissiona ad un giovanissimo Michelangelo un gruppo marmoreo rappresentante la Pietà. Questo era un tema molto ricorrente nell’Europa settentrionale, ma poco in Italia.


La scultura segue uno schema piramidale ed è stata pensata e realizzata per una visione frontale. La Madonna è visibilmente più grande di Cristo, ciò le consente di sorreggere agevolmente il corpo di suo figlio, quasi a rievocazione dell’infanzia di Gesù.


La potenza drammatica del gruppo marmoreo trova il suo apice nel volto della Vergine. Il suo viso sembra appena velato dalla tristezza, non vi si colgono tracce di rancore o desiderio di vendetta, ma il palmo della sua mano sinistra alzato verso l’alto è sufficiente a rendere manifesta tutta la sua naturale disperazione. Michelangelo sceglie di rappresentare due esseri giovani e perfetti in cui si riflette evidentemente la bellezza di Dio, in accordo con la filosofia Neoplatonica cui lo scultore aderisce.

Egli, inoltre, si rifà ad un passo tratto dal XXXIII canto del Paradiso della Commedia di Dante, in cui San Bernardo rivolge alla Madre di Dio queste parole:

“Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,

umile ed alta più che creatura,

termine fisso d’eterno consiglio”.





E’ proprio da questo eterno capolavoro che il regista Kim-Ki Duk trae l’ispirazione per la sua diciottesima pellicola: Pietà. Il cineasta ci sbatte in faccia il ritratto senza filtri della vita di un trentenne coreano Kang-Do (Lee Jeong-jin). Kang-Do lavora per uno strozzino ed il suo compito è quello di incassare il credito accumulato dai poveri debitori della zona, che versano in una precaria situazione economica.


Crudeltà e sadismo sono all’ordine del giorno per il giovane che tormenta e sevizia gli inadempienti debitori. La sue giornate scorrono inesorabilmente lente nei sobborghi di Seul, tra crudeli torture e violente erezioni notturne. Una donna (Jo Min-Su) entra prepotentemente nella sua vita sostenendo di essere la madre che lo aveva abbandonato quando era in fasce. Nonostante un’iniziale diffidenza, Kang-Do arriva ad essere totalmente dipendente dalla donna. La sempre crescente morbosità con cui il giovane si lega alla sua presunta madre culmina in un tanto inaspettato quanto sconvolgente rapporto incestuoso.



Lo spietato Kang-Do si trasforma in un bambino bisognoso d’affetto. Un sentimento a lui totalmente sconosciuto si fa lentamente strada: la pietà. Questo non solo lo disorienta, ma lo paralizza tanto da essere portato a voler mettere fine ai suoi giorni da brutale aguzzino.

La pietà di Kim-Ki Duk è un sentimento che nemmeno la crudele società contemporanea riesce ad eliminare. Come la speranza che per ultima esce dal vaso di Pandora per alleviare le lacrime e la sofferenza dei mali, così la pietà inattesa, ma tanto più auspicata, ruba, in ultimo atto, il posto sulla scena fino ad allora occupato dalla crudeltà e dalla violenza.



E’ proprio questo, che, in ultima analisi, accomuna Michelangelo e Kim-Ki Duk: la volontà, la scelta di rappresentare un soggetto (la pietà per l’appunto) capace di abbracciare i dolori e le sofferenze dell’umanità intera.













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