top of page
Immagine del redattorearshumanablog

L’URLO, MUNCH (1893)

Edvard Munch è stato un pittore norvegese. Nacque a Løten, in Norvegia, secondo di cinque figli. Suoi parenti erano anche il pittore Jacob Munch e lo storico Peter Andreas Munch, fratello del padre.

Sin dalla fanciullezza, Edvard fu provato da una serie interminabile di disgrazie familiari: la madre morì di tubercolosi seguita da Johanne Sophie che spirò stroncata dalla stessa malattia. A curarsi del giovane Munch, dopo la morte della madre erano il padre e la zia Karen e in questo periodo che il ragazzo iniziò ad interessarsi all'arte disegnando per tenersi occupato nei momenti di stasi.

L’opera in una sola immagine incarnare il dramma esistenziale dell’uomo moderno.

Era destinata a formare, nell’idea dell’artista, un grande manifesto dell’intera esperienza umana dalla nascita alla perdita, dall’amore all’ossessione, dalla solitudine alla morte.

Mostra in primo piano il volto di un essere umano totalmente sfigurato con la carnagione di un colore tra il giallo e il verdognolo. I suoi lineamenti sono così alterati e scarnificati da rendere impossibile distinguere se si tratti di un uomo o di una donna. Le orbite oculari sono due cerchi privi di colore e profondità, il naso è scomparso lasciando solo due punti neri a suggerire le narici, la bocca è spalancata in un urlo lancinante. La testa è clava e la sua struttura è più vicina a quella di un teschio che a quella di un essere umano vivo. È visibile anche parte del corpo. Il busto è reso attraverso linee ondulate, è ricoperto da una tunica scura, che mette in risalto l’eccessiva magrezza, la mancanza di proporzione. Questa figura sembra a malapena mantenersi in posizione eretta, quasi non avesse spina dorsale.

Le braccia sono piegate, le mani appoggiate al volto in un gesto che allo stesso tempo sembra suggerire la volontà di sostenere la testa e di chiudere le orecchie, come se la stessa persona non fosse in grado di sostenere il grido che lei stessa sta emettendo.

In lontananza vediamo due sagome scure di cui si distinguono gli abiti borghesi. Sulla destra un paesaggio naturale, il mare e alcune piccole imbarcazioni che campeggiano all’interno di una chiazza gialla, evidente riflesso della luce del sole. Un cielo al tramonto, reso con larghe pennellate ondulate, giallo intenso e rosso sangue.

Il personaggio in primo piano è un essere umano e l’impossibilità di determinarne l’identità rende possibile attribuirgli qualsiasi identità, è “l’uomo”, è ciascuno di noi, è l’intera umanità.

Il grido è una reazione istintiva, primordiale, profonda. Si grida per la paura e per il dolore. L’essere umano raffigurato nel quadro è terrorizzato e scosso dalla sofferenza.

Il suo dolore? La sua paura? La paura, il dolore, sono dentro di lui. Non c’è un agente esterno. dirlo è quel primo piano agghiacciante che fa riferimento allo smarrimento, alla solitudine, e alla incomunicabilità. Ho scelto di associate questo brano a quest’opera in quanto simbolo di libertà e dissolutezza dal contorno. Gridare non è solo una reazione alla paura e allo stupore, ma è anche una conseguenza della gioia, della felicità, di stupore. Si grida per chiedere aiuto, per rabbia. Gridare è libertà.

(Articolo di Ilaria Lomartire, cover de “Il mio canto libero”, Battisti, di Natalia Saponaro).


31 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

コメント


bottom of page