top of page
Immagine del redattorearshumanablog

Innovazioni tecnico-stilistiche nel Rinascimento maturo

Il Rinascimento maturo (convenzionalmente 1475-1527) può essere considerato un periodo abbastanza breve per accogliere i tre artisti che hanno fornito le basi per l’arte futura e che, addirittura, dai loro contemporanei erano considerati come “capaci di raggiungere la massima perfezione, di eccellere in ogni arte e in ogni tecnica” (Vasari).

Il primo ad avere tutte queste qualità fu Leonardo da Vinci (1452-1519), che fu in grado di superare i limiti dell’età precedente. Giorgio Vasari nelle sua opera, “Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri” lo raccontò come «[…] mirabile e celeste fu Lionardo figliuolo di ser Piero da Vinci; […] e non solo esercitò una professione, ma tutte quelle, ove il disegno s’interveniva quell’ingegno infuso tanta grazia da Dio […] e col disegno delle mani sapeva sì bene esprimere il suo concetto […]». È abbastanza chiaro, dunque, che Leonardo, nonostante il suo carattere alle volte difficile, fosse ampiamente ammirato. È ancora tutt’oggi considerato come un “genio” sotto ogni punto di vista: in ambito scientifico, in ambito letterario, ma in particolar modo in ambito artistico.


È proprio qui che il suo ingegno si intreccia con un’arte manuale, dando così vita a nuove tecniche pittoriche e nuove strutture iconografiche. Tra le principali, senza dubbio, vi sono lo sfumato, la prospettiva aerea, la struttura piramidale e la concatenazione dei gesti dei personaggi. Opera, capace di mostrarci questi elementi è “La Vergine delle Rocce” (1483-1490).

La scena rappresentata nell’opera è ambientata in un luogo insolito, ombroso e roccioso, non convenzionale rispetto al tipico cielo azzurro o dorato sui quali si ambientava una scena sacra. Infatti, vi si possono individuare al suo interno conformazioni rocciose, oltre le quali si intravedono altri monti e corsi d’acqua. Per esaltare, quindi, questo luogo singolare, Leonardo usa due tecniche essenziali, tra di loro collegate: la prospettiva aerea e lo sfumato. Quest’ultimo consiste nel passaggio progressivo e impercettibile dall’ombra alla luce, ottenuto sfumando il colore e perdendo gradualmente la precisione dei contorni, che sono delineati da infinite linee spezzate. Lo scopo di questa tecnica è di ammorbidire i lineamenti dei volti o paesaggi e di far percepire all’osservatore quell’indefinitezza dei dettagli degli oggetti lontani dovuta alla distanza e all’umidità atmosferica. A questo proposito si riaggancia la prospettiva aerea, ovvero una modalità di rappresentazione della realtà che, sempre seguendo la

prospettiva lineare, crea spazio con il chiaroscuro e dà l’impressione del progressivo sfocarsi delle immagini a causa della distanza, dell’umidità dell’atmosfera e del mutamento dei colori. Quest’ultimi mutano in base alla distanza, tendendo sempre più all’azzurrino.

In questo posto, i personaggi sono definiti per mezzo del gioco di luci e ombre. Al centro della scena sono rappresentati la Vergine, il Bambino, un angelo e San Giovannino. La Vergine è al centro della composizione, ma non in primo piano. È mostrata mentre con il suo braccio destro teso abbraccia il piccolo San Giovanni, il quale viene visto in adorazione di Gesù. Il braccio sinistro della Vergine, invece, è proteso, con un’ottima tecnica prospettica, in avanti, dove la mano è mostrata aperta, in segno di protezione del Bambino benedicente. L’angelo si trova accanto a quest’ultimo, in ginocchio, mentre sorregge Gesù e rivolge il suo sguardo all’ipotetico osservatore del quadro, indicandogli il piccolo San Giovannino. Quest’insieme di gesti crea movimento nella scena rappresentata, unendo così i vari personaggi e la storia che essi raccontano per mezzo della “concatenazione dei gesti”. Oltretutto, la rappresentazione delle figure sacre avviene secondo un particolare schema, detto “composizione piramidale”. Con questo schema, l’artista dona una sensazione di rilievo e una maggiore profondità all’immagine, per mezzo di un elemento geometrico immaginario.


Un’opera che potrebbe ricollegarsi a “La Vergine delle rocce” è la “Madonna del Prato” di Raffaello (1483-1520). Quest’ultimo, morto precocemente, fu considerato come uno dei più grandi artisti del Rinascimento – parere che rimane sempre molto attuale. La sua formazione si basava fondamentalmente sugli insegnamenti del padre, Giovanni Santi, del suo maestro Pietro Perugino e sull’osservazione delle opere di Leonardo e Michelangelo. Per Vasari, Raffaello Sanzio era uno degli «Dèi mortali», in quanto ricco delle «più rare virtù dell’animo accompagnate da tanta grazia, studio, bellezza, modestia ed ottimi costumi».


In seguito ai nuovi schemi introdotti da Leonardo, anche Raffaello sceglie di riportare nelle sue opere la composizione piramidale e la concatenazione dei gesti. Queste due particolarità si rilevano in differenti Madonne di Raffaello; in particolar modo nella Madonna del Prato, o Madonna del Belvedere (1505-1506).

La scena sacra è ambientata da Raffaello in una distesa verde: un prato, il cui colore sgargiante mette in risalto la Vergine, rappresentata in un abito rosso, coperta, nella parte inferiore del corpo, da un manto azzurro, con un bordo dorato. La gamba destra della donna, ricoperta dal tessuto blu, si protende diagonalmente, mentre al contrario, la gamba sinistra è piegata e portata indietro. La testa della Vergine è rotata e inclinata verso sinistra e il suo incarnato chiaro è contrastante rispetto al verde e all’azzurrino (tecnica dello sfumato leonardesco) del paesaggio retrostante. La donna è leggermente chinata in avanti, in quanto si mostra mentre sorregge Gesù, rappresentato da Raffaello come un infante. Il Messia è intento a giocare con San Giovannino che, inginocchiato, regge tra le sue mani una croce, porgendola al Bambino.

Mentre i due bambini sono rappresentati in un’azione, ovvero quella del gioco, la Vergine rivolge il suo sguardo a San Giovanni, mentre afferra con le sue mani il suo pargolo. In questa maniera, i tre personaggi sono legati emotivamente e fisicamente l’uno all’altro, anche grazie alla concatenazione delle mani, ricostruendo così la piramide compositiva. A differenza di Leonardo, in particolare rispetto a “La Vergine delle rocce”, i colori utilizzati da Raffaello sono particolarmente accesi e luminosi, e con essi l’artista cerca di rendere un equilibrio dinamico tra toni caldi e freddi.


Così accade anche per la sua “Pala Baglioni” o “Deposizione Borghese” (1507), in cui Raffaello amplifica questa sua tecnica. La Pala, una delle prime di Raffaello, fu commissionata da Atalanta Baglioni nel 1504 per la sua cappella nella Chiesa di San Francesco al Prato a Perugia. Lo scopo dell’opera era di ricordare l’assassinio del figlio Federico, Grifonetto, e di ritrarre il suo dolore e quello della nuora.

In quest’opera, l’artista ritrae la narrazione di una scena sacra, per la prima volta in movimento. In secondo piano, sullo sfondo, Raffaello ritrae un paesaggio che ricondurrebbe

all’esterno delle mura di Gerusalemme, dove appunto è situato il colle Golgota (nella tavola rappresentato in alto a destra con le tre croci caratteristiche). La scena principale è il trasporto del Cristo morto, che dal luogo di crocifissione viene condotto fino al sepolcro.

Il suo corpo pesante è poggiato sul lenzuolo. Il busto è sostenuto da quello di Giuseppe d’Arimatea, mostrato in una veste azzurra e coperto con un turbante a sinistra della raffigurazione; mentre la parte inferiore del corpo di Cristo, ricade diagonalmente sul corpo di Nicodemo, vestito in rosso e verde. Le teste dei due uomini dediti al trasporto sono inclinate in direzioni opposte per bilanciare e distribuire meglio il peso.

A sinistra del corpo morente, vi è Maria Maddalena che sorregge la mano di Gesù, accompagnandolo. Addolorata, a destra della tavola, vi è la Vergine, che viene ritratta svenuta e sorretta tra le mani di tre pie donne. La figura di Maria incarna il dolore di una madre che perde il proprio figlio, ricordando così Atalanta Baglioni. Nella parte opposta dell’opera, invece, partecipano al dolore anche San Giovanni e San Pietro. Nicodemo, che rappresenterebbe Grifonetto per un’analogia di lineamenti, è da intendersi come tramite figurativo tra i trasportatori e il dolore delle donne alla destra, unendosi ad entrambi i momenti.

La posizione dei vari personaggi si articola lungo due diagonali (i due trasportatori è come se formassero una V con le loro braccia), in cui i corpi, seguendo sempre la tecnica leonardesca della concatenazione dei gesti, assumono atteggiamenti ed espressioni che ricalcano le loro emozioni.

Nell’opera della “Pala Baglioni”, è anche molto evidente l’influenza del terzo esponente del Rinascimento maturo, Michelangelo. In particolare, si nota che Raffaello si ispira al “Tondo Doni” michelangiolesco (1504), in quanto le figure presentano un’evidente muscolatura e un lieve contrapposto (questo è il caso di una delle tre donne pie, colei inginocchiata di fronte la Vergine, che viene rappresentata in moto torsionale).


Il periodo del Rinascimento maturo termina, quindi, con l’ultimo grande artista, Michelangelo Buonarroti (1475-1564). Per il Vasari, era come una benedizione per l’arte: «[…] uno spirito, che universalmente in ciascheduna arte ed ogni professione fusse abile, […], e con retto giudizio operare nella scultura, e rendere le abitazioni commode e sicure, sane, allegre, proporzionate, e ricche di vari ornamenti nell’architettura. […] accompagnarlo della vera filosofia morale con l’ornamento della dolce poesia».

Michelangelo, quindi, era ampiamente stimato da ogni artista a lui contemporaneo – e non solo – seppur caratterizzato da un atteggiamento burbero e scontroso. Lavora molto a Roma, dove il papa Giulio II gli commissiona diversi compiti: affrescare la volta della Cappella Sistina e la parete dietro l’altare della stessa. Segue anche il suo contributo al progetto e alla costruzione della Basilica di San Pietro, in seguito alla morte di Bramante e di tutti gli altri architetti che vi avevano lavorato.


Una delle opere pittoriche più importanti di Michelangelo è senza dubbio il Tondo Doni (1504), realizzato e conservato a Firenze. In primo piano sono mostrati, raccolti in un unico gruppo, i tre componenti essenziali della Sacra Famiglia: Maria, Giuseppe e il piccolo Gesù. In secondo piano, lontani dalla scena principale e divisi da un muretto, vi sono cinque figure giovanili nude, gli «Ignudi», posti in semicerchio in senso orizzontale su un rilievo roccioso. Alla destra di Giuseppe, invece, vi è San Giovannino, inteso come termine di mediazione tra il mondo pagano, l’età dell’oro (rappresentato dalle figure degli ignudi) e il mondo cristiano (associato alla Sacra Famiglia).

I personaggi della Sacra Famiglia riportano i principali elementi leonardeschi della concatenazione dei gesti e la particolare struttura piramidale, tendente ad un avvitamento verso l’alto.

A differenza di Leonardo, però, Michelangelo evidenzia con contorni netti e decisi le sue figure, che il primo, invece, preferiva sfumare.

In quest’opera incontriamo due caratteristiche introdotte in pittura da Michelangelo, che sono tra le sue principali peculiarità tecniche. Una è senza dubbio la tecnica del “contrapposto”, che troviamo pienamente applicata nella figura di Maria. Per contrapposto si intende una torsione del corpo attorno a un asse verticale verso due sensi opposti, cercando quindi di bilanciare delle masse corporee. Maria, mostrata dinamicamente, indirizza le ginocchia verso destra, mentre, in direzione contraria è volta la parte superiore del suo corpo. Anche Gesù, in braccio ai due genitori, è mostrato in lieve contrapposto.

La seconda è visibile nell’uso dei colori vivaci, sgargianti e accesi, che spiccano rispetto lo sfondo e alla tecnica ad essi collegata: il “cangiantismo”, che si contrappone allo sfumato leonardesco. Il cangiantismo costituisce un cambiamento di colore netto a seconda della luce e delle ombre. Ad esempio, il rosa, potrebbe diventare bianco, come blu, potrebbe tendere all’azzurro, come è possibile osservare nell’abito della Vergine. Questa tecnica fu ampiamente usata da Michelangelo anche nell’affresco della volta della Cappella Sistina (1508-1512), diventando anche elemento essenziale per una corretta chiave di lettura tecnica dell’opera. Il cangiantismo ispirò, successivamente, anche diversi altri artisti, come Raffaello, che usò questa tecnica nella sua “Trasfigurazione” (1516) e gli artisti del Manierismo (1530-1610).


Martina Cannone


42 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page