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Il vagone di terza classe -specchio o martello?


"Il vagone di terza classe" di Honoré Daumier, 1862/1865. Olio su tela su tavola. 65×90 cm. National Gallery of Canada, Ottawa.



Quando nel 1862 Honoré Daumier presentò alle gallerie d'arte parigine la sua nuova opera, un olio su tela aderente alle tematiche della corrente artistica del Realismo, la critica contemporanea non tardò a esprimere la propria perplessità e disapprovazione. Il motivo era chiaro: lo squarcio di vita quotidiana ripreso dall'artista aveva un evidente messaggio sociale. All'ambiente ufficiale della cultura, strettamente legato alla classe dominante, non piacque il modo in cui la magnificenza del treno, grande innovazione tecnologica del tempo, fosse sminuita in favore del racconto del profondo disagio popolare.

Il vagone di terza classe di Daumier è l'anticamera di una Parigi spenta e stremata, che non ne può più di barricate e lotte intestine. L'ambiente buio, illuminato dalla luce dei finestrini laterali del treno, e i colori spenti creano un'atmosfera lugubre. L'entusiasmo per la ferrovia si scioglie di fronte allo spettacolo pietoso della terza classe. Protagonista, in quest'opera, è il comune sentimento di rassegnazione del popolo parigino.

In primo piano coglie l'attenzione dello spettatore una vecchia signora, centro visivo e compositivo del quadro. Le forme del suo corpo, già poco delineate, si perdono ulteriormente nelle pieghe del mantello che ha addosso: a parte il volto, una ragnatela di rughe e pelle cadente, solo le sue mani ossute emergono dal tessuto, per stringere la presa sul manico del paniere che tiene in grembo. La stanchezza sul suo viso è accentuata da piccoli particolari: gli occhi grandi e incavati, lo sguardo perso nel vuoto, l'espressione assente e miserabile. Tutto in lei indica una povertà materiale e spirituale. Perfino le persone che ha attorno sembrano voler enfatizzare la sua condizione. C'è ben poca gioia nel bambino seduto alla sua destra, così come nella ragazza che allatta un infante alla sua sinistra. Gli uomini e le donne in secondo piano spiccano, in contrasto, per le loro espressioni indolenti e disinteressate. In ogni caso, tutte le figure possiedono sagome mal delineate, con profili a tratti abbozzati che niente hanno a che vedere con la perfezione anatomica raggiunta nei secoli precedenti al 1800. Daumier, d'altronde, è stato un vignettista prima ancora di dipingere e la natura caricaturale dei suoi personaggi è evidente in quest'opera.

Particolare attenzione va rivolta al colore. Lo stesso Charles Baudelaire –poeta francese che, pur non condividendone i valori, fu ammiratore di Daumier– ne complimentò l'utilizzo attento: «La sua matita contiene molto di più del nero necessario per tracciare i contorni. Essa suggerisce il colore, come il pensiero; è il segno di un’arte superiore». E come contraddirlo? In fondo, sono i toni rosso-bruni scelti dall'artista, l'ampio uso di chiaroscuro, i tratti neri che delineano le forme dei soggetti in primo piano a dare all'intera opera la sua cupa atmosfera.

Il tutto va a suscitare nello spettatore una certa pena verso non solo la donna ma la generale situazione incorniciata nella tela. In un'era di insurrezioni e scosse rivoluzionarie, Honoré Daumier sceglie di mostrare un'altra faccia della popolazione al pubblico delle gallerie d'arte parigine.

Non c'è niente di grandioso, nulla di fiero ed indomito nella gente qui rappresentata. La massa popolare che ha fatto tremare l'Europa e sorgere l'inferno rivoluzionario ora è alla mercé di un nuovo padrone - uno che alla corona preferisce il cilindro - e si spoglia del suo eroismo furioso per tornare nella miseria.

Daumier, insomma, dipinge il Popolo francese – quello con la lettera maiuscola, scrittore del proprio destino e protagonista della più grande rivoluzione all'epoca mai vista – in un'ottica triste e amareggiata. Il canto di sirena della Libertà è stato inghiottito dagli spari oltre le barricate e la gente che giurava che mai più sarebbe stata schiava ha solo cambiato catene. Niente colori brillanti e albe rivoluzionarie per la Francia dell'ultimo 1800. Né tanto meno viene attribuita alcuna gloria agli altri soggetti del dipinto: il treno appare come un ambiente buio e opprimente, mentre i passeggeri in secondo piano non prestano affatto attenzione ai loro concittadini più sfortunati.

Il vagone di terza classe non ha nulla da esaltare – non il progresso, non la classe operaia né quella borghese – e il suo unico proposito, ieri a Parigi e oggi a Ottawa, pare quello di invitare i suoi spettatori a fermarsi un attimo per guardarsi attorno, per vedere e capire. E solo allora, forse, provare a cambiare.

«L'arte», per citare il rivoluzionario sovietico Leon Trotsky, «non è uno specchio con cui riflettere la società, ma un martello con cui scolpirla».




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