top of page
Immagine del redattorearshumanablog

-I tre filosofi


"I Tre filosofi" di Giorgione, 1506/1508. Olio su tela, 123,5x144,5 cm. Vienna, Kunsthistorisches Museum.


Quando si parla della presenza della natura nell'arte, il Rinascimento è una delle epoche più ricche: da Botticelli a Mantegna, passando per Leonardo e Raffaello, tutti i grandi artisti si cimentano, a proprio modo, nella rappresentazione di questa dimensione della realtà. Dottore eccellente in tale materia, Giorgione si è fatto conoscere dagli studiosi per i suoi misteriosi simbolismi ed enigmatici dettagli naturali, dei quali è un esempio lampante l'olio su tela denominato I tre filosofi

Quanto all'interpretazione di quest'opera, in apparenza semplicissima, la critica ha avuto modo di sbizzarrirsi nel corso del tempo, specialmente circa l'identità dei tre uomini protagonisti. I primi studi, supportati nello scorso secolo dallo storico austriaco Friederike Klauner, ipotizzano che la grotta raffigurata sia quella in cui è nato Gesù Cristo e che i tre uomini all'esterno, conseguentemente, siano i re magi. A questa corrente di pensiero si oppone quella che, studiando la pergamena in mano all'uomo più anziano, indovina un significato del tutto diverso: il vecchio dalla lunga barba è Mosè, accanto a lui c'è Maometto e il ragazzo seduto non è altro che l'Anticristo. Secondo le analisi di Augusto Gentili, sul foglio che Mosè ha in mano è disegnata una congiunzione astrale che è simbolo di imminenti sciagure e, parallelamente, i tre uomini potrebbero rappresentare tre diverse ere della civiltà umana. La denominazione "i tre filosofi", che a questo punto potrebbe sembrare inappropriata, proviene dalla più antica interpretazione dell'opera, più tardi difesa e argomentata dall'ungherese Peter Meller; egli, esponente di una numerosa fazione della critica, riteneva che gli uomini in questione fossero, da destra verso sinistra, Platone, Aristotele e Taddeo Contarini.  L'intera questione –arricchita da altre teorie più audaci ma meno popolari di queste– è stata approfondita nella tesi Chi sono «I tre filosofi» del 1965, a opera del traduttore, critico e storico dell'arte Alessandro Parronchi. Inutile dire che, nonostante gli sforzi di trovare un terreno comune, gli studiosi non sono mai stati completamente d'accordo. E, magari, è meglio così. In fondo è questo intrigo a dar valore a I tre filosofi, il dubbio incessante che proviene dal non sapere con certezza cosa si sta guardando.

L'unica certezza che abbiamo di quest'opera è quello che i nostri occhi possono confermare: la natura.

In primo piano c'è il bosco, il folto, l'ignoto: colori scuri vengono usati per tratteggiare i tronchi nodosi di alcuni alberi, le chiome fitte della foresta e, ovviamente, la grotta. Potrebbe essere questo il punto focale dell'intero quadro. Ancor più dei tre uomini che le stanno di fronte, osservandola con fare critico e cauto, tenendosi a distanza di sicurezza, è la caverna ad attirare l'attenzione dello spettatore. Come potrebbe non farlo? Un buco nero del genere non può che risaltare in mezzo al colore tenue del cielo, all'arancio appena stemperato del sole che sorge, alla nuda roccia, ai vestiti sgargianti dei filosofi. Oltre la caverna, oltre il bosco, delle nuvole incorniciano lo spettacolo dell'albeggiare mattutino che illumina una selva ordinata e un gruppo di case con un mulino, simbolo della presenza umana. Un paesaggio sereno. Niente a che vedere, dunque, con le sagome scure e il buio palpabile del primo piano.

Magari è questo che Giorgione vuole rappresentare. La dualità della natura. L'artista la dipinge mite laddove gli uomini la sottomettono; lo stesso spettatore la percepisce benevola nella sua lontananza, nei suoi colori chiari e nel suo cielo limpido. In primo piano, però, c'è un altro suo aspetto, meno docile ma altrettanto affascinante: quello della natura vergine e intoccata dall'uomo che pare, agli occhi curiosi e diffidenti dei filosofi, tenebra pura. Questo curioso contrasto non può che stimolare una riflessione. La foresta, nella sua cupezza, sembra rappresentare il dilemma del mondo naturale. I tre filosofi –come diceva Meller– la ragione umana, pronta ad illuminare la caverna con la scienza e la ragione. Il paesaggio in lontananza, invece, pare simbolo dell'armonia derivata dai misteri già svelati.

Qualunque cosa Giorgione volesse intendere con quest'opera, almeno un suo dettaglio ci appare chiaro: può esserci delicatezza e non violenza, pace e non conflitto, bellezza e non orrore nell'unione tra il progresso umano e la nuda terra.

E allora, forse, l'utopica convivenza armoniosa tra uomo e natura non è poi così tanto un'utopia.



𝓢 a s h a

49 visualizzazioni0 commenti

Post recenti

Mostra tutti

Comments


bottom of page