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Immagine del redattoreREDAZIONE MARS - ILARIA

LA ZATTERA DELLA MEDUSA

Théodore Géricault, La zattera della Medusa, olio su tela, 1818


Questa chiave di lettura del “viaggio” offerta dal pittore francese, risulta profondamente diversa da quella che vi abbiamo proposto nel post precedente: si tratta di un visione cupa, disincantata e terribilmente realistica di viaggio.

Il quadro di Géricault, infatti, prende spunto da un fatto di cronaca realmente accaduto nel 1816: l’affondamento della nave francese Medusa avvenuto il 2 luglio 1816 davanti alle coste dell'attuale Mauritania. Il naufragio avvenne a causa di negligenze e decisioni affrettate da parte del comandante Hugues Duroy de Chaumareys che, oltre a non navigare da circa venticinque anni, non aveva una buona conoscenza di quelle acque, cosa che portò la fregata ad incagliarsi sul fondale sabbioso. Oltre 250 persone si salvarono grazie alle scialuppe, le rimanenti 150, la ciurma, dovettero essere imbarcate su una zattera di fortuna, lunga 20 metri e larga 7 e di queste soltanto 10 fecero ritorno a casa.

L’episodio colpì molto l’immaginazione di Géricault che si mise al lavoro per la realizzazione di questa che rimane la sua opera più famosa. Il quadro usa un episodio di cronaca quotidiana per esprimere un contenuto universale: la vita umana in bilico tra speranza e disperazione.

Le dimensioni del dipinto, 491 x 716 cm, furono scelte in modo che la maggior parte delle figure fosse in scala reale, mentre quelle in primissimo piano fossero il doppio della loro grandezza naturale, dando quindi il senso di spinta verso lo spettatore, che viene trascinato di peso direttamente nell'azione. La didascalia sulla cornice recita: «L'unico eroe in questa toccante storia è l'umanità».

La zattera è popolata dai sopravvissuti al tragico incidente. Un vecchio in primo piano regge sulle ginocchia le spoglie del figlio deceduto, un altro irrompe in lacrime di frustrazione e sgomento. Un ammasso di corpi occupa la parte inferiore del dipinto, in attesa di essere trasportati via dalla corrente. Gli uomini al centro, invece, hanno appena scorto la Argus e uno di loro si erge su una botte vuota, sventolando freneticamente il suo fazzoletto nel tentativo di attirare l'attenzione della nave. La presenza della nave all’orizzonte dava la sensazione del lieto fine. La sensazione che oramai, per i sopravvissuti, la brutta avventura stesse per volgere all’epilogo.

Nella stesura definitiva la nave all’orizzonte scompare, proprio per aumentare il senso del pathos. Lo spettatore, che assume lo stesso punto di vista dell’uomo che agita il panno, non sa come la vicenda andrà a finire e quindi deve cogliere la sensazione drammatica di chi ancora non sa se verrà salvato o meno. E all’orizzonte di quel punto di vista lo spettatore non vede, e non potrebbe vedere, nulla. Allo stesso modo l’essere umano vive i suoi giorni: senza sapere quale sarà il finale, la morte o la salvezza, che lo aspetta.


La composizione pittorica del quadro è costruita su due strutture piramidali. Il perimetro della prima e più larga piramide, a sinistra, è costituito dalla base stessa della zattera, mentre la seconda, di misura minore, si sviluppa dal gruppo di sagome morte in primo piano. Queste formano anche la base da cui emergono i sopravvissuti, intenti a stagliarsi il più alti possibile per richiamare la nave, e convogliano gli sguardi e l’azione verso il picco emotivo costituito dalla figura centrale che sventola il panno. L'attenzione dell'osservatore è dapprima catturata dal centro della tela, per poi seguire il flusso dei corpi dei sopravvissuti, inquadrati di schiena e tendenti verso destra.


Altre due linee diagonali furono usate per aumentare la tensione drammatica. Una, infatti, segue l'albero maestro e i tiranti, spostando l'attenzione dell'osservatore verso le minacciose onde della tempesta, l'altra, composta dai corpi dei naufraghi ancora vivi, si protrae verso la silhouette della Argus.


La tavolozza di Géricault, composta da toni pallidi per i corpi dei naufraghi, colori fangosi e scuri per i loro vestiti, il mare e il cielo, comprende vermiglione, bianco, giallo Napoli, quattro diversi tipi di ocra, due sfumature di terra di Siena, carminio, blu di Prussia, pesca-arancio, terra di Cassel e bitume. Nel complesso, il dipinto è dominato da una tonalità scura e tetra, affidata all'uso di pigmenti tendenti al marrone, che secondo l'autore erano efficaci nel suggerire il sentimento di dolore e tragedia. All'orizzonte la Argus è illuminata da una luce più chiara e questo fornisce all'intera scena una luminosità che rinvigorisce e accende l'occhio dello spettatore, altrimenti offuscato dai vari toni del marrone. A questo contribuisce anche il mare, realizzato in un verde intenso, invece del tradizionale blu scuro, che avrebbe sminuito il contrasto con la zattera e i suoi passeggeri.


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